Digital interview

Non sono una nativa digitale e non soltanto dal punto di vista anagrafico. Però, per fortuna, i nativi digitali esistono. Li temo un pochino, sono sincera, ma ci vogliono, c’è poco da fare. Ci vuole qualcuno che non si limiti a usare gli strumenti, ma li comprenda, li spieghi, li colleghi. Uno di quelli che di queste cose ne capisce assai è Federico Morello.

19 anni, di Lestans di Sequals, ha iniziato la sua battaglia contro il digital divide quando di anni ne aveva 14. Oggi è Digital Life Coach per aziende e pubbliche amministrazioni e Young advisor per l’implementazione dell’Agenda digitale. Lunedì interverrà alla Camera dei deputati in un evento dedicato proprio ai nativi digitali.

L’ho intervistato per il Messaggero Veneto (che gli ha dedicato la prima pagina) per saperne di più su questa sua esperienza e per capire a che punto sia l’Italia nel percorso di digitalizzazione. Sono sicura che su quest’ultimo aspetto un’idea già ve la siate fatta, ma spero che vorrete tentare la sorte e leggere comunque il mio pezzo!

 

Federico Morello alla Camera dei deputati

 

Federico Morello alla Camera dei deputati_prima pagina

(Fonte: Messaggero Veneto, 3 ottobre 2014)


Intervistando Aleida Guevara

In uno dei primi post avevo scritto che «tra le cose belle del mio mestiere c’è il fatto che la mattina puoi trovarti a scrivere di sofisticati software per la gestione aziendale e il pomeriggio dedicarti a raccontare dell’ultimo ritrovato della coltivazione biologica della barbabietola, con un intermezzo all’insegna della ricerca del nome per quella start-up che proprio ci voleva». E poi, puoi trovarti a intervistare la figlia del “Che”. Già.

La prima reazione alla chiamata del caposervizio che ti dà questa notizia è: «Seee, come no!». Cioè, ti chiedi se chi sta all’altra cornetta abbia pensato di farti uno scherzetto bello e buono. Che tanto lo sa, che hai uno sviluppato senso dell’umorismo. Ma quando realizzi che, invece, avrai un’opportunità del genere, ciò che provi è: PANICO. Puro panico, ansia da prestazione, senso di inadeguatezza e desiderio di bere qualcosa di forte. Superato questo primo step, sedato soltanto da una telefonata fiume alla persona giusta (ognuno ha la sua!), ti parte invece il galoppo. Non riesci più a stare ferma dall’eccitazione. Se non per leggere, nelle poche ore a disposizione, tutto quello che puoi sul “Che”, la sua famiglia e le sue gesta.

Inutile dire che, quando finalmente sono riuscita a sedermi accanto ad Aleida Guevara e a farle le mie domande – rispolverando, ascoltandola, tutte le mie reminiscenze di Spagnolo del liceo (grazie prof!) -, la consapevolezza di avere davanti a me un pezzo di storia è diventata palpabile. Insomma, è stato bellissimo. Un’occasione imperdibile per accostarsi a un mondo diverso, sentire da vicino la forza di una persona che ha dentro di sé, vivi, valori e ideologie in cui, nel nostro quotidiano, abbiamo un po’ smesso di credere. Sfiorare (perché non credo di poter comprendere davvero) le difficoltà di un popolo che appena conosciamo. Poter ascoltare senza pregiudizi una persona così è stato un vero privilegio. Ne sono uscita commossa e piena di energie. L’articolo che, poi, è stato pubblicato sulle pagine della Cultura del Messaggero Veneto, il 7 maggio, è il condensato di una bellissima mezz’ora d’intervista. Molte di più sono le cose che Aleida Guevara mi ha detto, ma che per ragioni di spazio ho dovuto sacrificare: pensieri che faranno parte di me per sempre e che, certamente, contribuiranno a scolpire un nuovo pezzettino della mia persona.

Aleida Guevara_intervista di Erica Rizzetto
(Fonte: Messaggero Veneto, 7 maggio 2014)

 

Memoria

logo_adunata_pn

Sento un coro alpino e mi viene in mente mio nonno Silvio, con la sua fisarmonica e i racconti di guerra. I suoi occhi, le mani che si stringono a pugno nel ricordare quei momenti. Ma la voce chiara, limpida, l’animo forte e pulito di chi ha visto e patito, ma con onore. Sempre. E ricordo che ogni volta, poi, sapevo che avrebbe dormito sonni agitati, scossi dalla memoria di un uomo buono che non poteva spiegarsi tanto dolore. E non posso che essergli grata, lo sarò sempre, per quei momenti che ha voluto condividere, nonostante fosse difficile. Gli sarò sempre grata per avermi insegnato, “semplicemente” vivendo la sua vita, il significato di parole come onestà, valore, correttezza, umiltà. Onore a mio nonno, oggi e sempre. E a tutti quelli come lui, nostra storia, che troppo spesso diamo per scontati. Onore agli Alpini.

Non adatto agli amanti della linea. No, non quella telefonica!

logo-mac

Oggi post su un post, leggero ma non dal punto di vista della linea!

Ecco la mia intervista a una cake designer pordenonese per uno dei progetti a cui lavoro, ovvero Make a Cake ideas&design: tre pazze creative che disegnano, scrivono e confezionano coordinati grafici personalizzati per matrimoni ed eventi.

Assaporatela!

La Grande Bellezza di questo mestiere

Vedere Sorrentino che ritira l’Oscar per il miglior film straniero ha provocato in me tante reazioni diverse in un attimo. Come prima cosa, mi è parso di sentire vibrare la gioia di una soddisfazione così grande, quella che libera il sorriso “trita-ganasce”, che rilassa le spalle e gonfia il petto. Mi sono chiesta quale, nell’intero processo che porta al successo, sia il momento migliore. Quell’attimo di piena completezza di sé o il percorso fatto per arrivare sin lì? Oppure l’istante in cui capisci che nelle tue mani, nella tua mente, nella tua anima ci sono le risorse per creare di nuovo quella magia. Si dice “l’obiettivo non è la meta, ma il viaggio”. Ma a quale momento non potremmo mai rinunciare? Dopo, come si sarà sentito lui? Arrivato o in partenza? Anche se la maggior parte di noi non metterà mai piede sul red carpet, credo che a tutti capiti, prima o poi, di sentirsi un po’ Sorrentino nella vita (o un po’ Benigni o Salvatores, oppure Fellini o Bertolucci, a seconda dei gusti!): quando quel lavoro va eccezionalmente bene, quando i complimenti sono tanti e veri, quando ti dici che, sì, lo conosci questo mestiere. Ma come la viviamo? Io così: gioia, fierezza, pace, paura, consapevolezza. Un percorso nel percorso. L’elaborazione di un passo della propria vita. Questi attimi non dovrebbero mai lasciarci indifferenti, né dovremmo darli per scontati. E neppure credere che non ci appartengano. Dovrebbero aiutarci non a replicare in futuro, ma a creare ex novo. Può apparire scontato, ma credo che una delle cose difficili del lavoro creativo sia proprio comprendere questo aspetto e farlo proprio. Potendo così, ad esempio, lavorare per anni per un’azienda senza che questa senta la necessità di cercare qualche spunto nuovo altrove. Una gran sfaticata, insomma. Odio e amore dello stile di vita che ci siamo scelti. Ma sapete perché l’ho fatto io? Per sorridere e sentirmi felice, soddisfatta. Purtroppo non è sempre così, ma non mollo. Perché anche io, nel mio album, ho delle selfie come questa, e ciò qualcosa vorrà pure dire!

Selfie da Oscar

(foto Ellen DeGeneres)

Non un tono, né un taglio, neppure una misura.

Immagine

Un anno è un lasso di tempo terribilmente lungo di per sé, figuriamoci se pensiamo che sia quanto può passare tra un post e un altro. E così invece è stato. Già, un anno è passato dai primi e ultimi post. Inutile trovare scuse del tipo “c’ho avuto da fa’” perché chi di noi non è oberato da lavoro, famiglia, pensieri o scimmie urlatrici? Tanto per tenervi aggiornati, nel mio caso hanno prevalso le ultime.

Ho iniziato questo diario non avendo bene chiaro in testa cosa ne avrei fatto. Le mie buone intenzioni mi spingevano a farne un blog professionale, di quelli in cui scrivere tante cose intelligenti su come si produce un testo, sul perché lo si fa o magari sul fatto che chi lo fa non è pagato abbastanza. Ma ora, a distanza di un anno, ho deciso che no, un approccio troppo serio al mio lavoro, almeno qui, con me non avrebbe funzionato. E quindi? Perché mai qualcuno dovrebbe leggere qualcun altro che non sa nemmeno cosa vuole scrivere. Ancora non lo so, ma quello che so è che riempirò questo blog di parole. Sì, parole. Perché fate quella faccia? Ah, tutti i blog sono fatti di parole. Bella obiezione. Ma io lo riempirò con le mie parole, che poi sono quelle con cui mi pago da vivere (già in questa frase di materiale ce ne sarebbe: “pago” è la cosiddetta “parola grossa” e non perché fatta da lettere panciute). Quindi, da un certo punto di vista, non tradirò del tutto la mia idea di partenza e forse ne uscirà comunque un blog “professionale”. Ma un pochino meno incravattato. Insomma, eviterò di darmi un tono, un taglio e pure una misura.

Mystic-anza

rossoincucina

Tra le cose belle del mio mestiere c’è il fatto che la mattina puoi trovarti a scrivere di sofisticati software per la gestione aziendale e il pomeriggio dedicarti a raccontare dell’ultimo ritrovato della coltivazione biologica della barbabietola, con un intermezzo all’insegna della ricerca del nome per quella start-up che proprio ci voleva.
Ciò implica certamente un lavoro considerevole di creazione-di-una-cultura sulle più disparate materie, ma si traduce in grande soddisfazione quando, alla fine della fatica, il messaggio che hai veicolato racchiude proprio tutto ciò che il tuo committente voleva dire di se stesso. Nella forma migliore.
Devo dire che in questo aiuta molto l’entusiasmo dei clienti stessi: ti trascinano nella loro realtà imprenditoriale, raccontandoti aneddoti, speranze, e tutto quello che c’è dietro prodotti che nella quotidianità noi consumatori diamo troppo spesso per scontati. Quegli oggetti, invece, non sono solamente il risultato di un processo produttivo, o di un’intuizione creativa. Sono l’essere stesso della persona che ha creduto in loro, hanno dentro di sé un pezzettino del proprio creatore. Direte: “Non ti pare di essere ridicolmente mistica?”. Nient’affatto. È una questione di rispetto, per il lavoro altrui, che per molti corrisponde alla vita stessa!
Non vi sembra affascinante? A me sì. Molto. Anche perché apre le porte a un arricchimento personale non da poco. Inoltre, mi piace sguazzare nella passione altrui: aiuta a spronare anche la mia, a rinnovarla ogni giorno.
Ed è proprio quello che mi è successo lavorando al sito di un amico, rossoincucina.it, dedicato alla cucina, quella semplice ma non semplicistica, naturale ma non banale, che parte dal presupposto un po’ alla Gusteau (per me esiste davvero!) “Chiunque può cucinare!”. Come? Apri il tuo frigorifero, digita nel form di ricerca gli ingredienti e scopri come reinventare anche quelli più semplici.
Per rossoincucina.it ho realizzato i testi della home e della pagina “Chi siamo”. Per la mia gola spero, invece, di cimentarmi quanto prima in una delle numerose ricette illustrate passo passo.
Si, anche io posso cucinare!

La sostenibile leggerezza della parola

IO L'8 OGNI GIORNO

Lo sapeva bene Italo Calvino: La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.

Leggerezza, ecco cosa rende un testo, e così un messaggio, davvero incisivo. Non sono gli aggettivi, i termini altisonanti, ma il semplice contatto con la realtà della parola. Ed ecco che ancora riesco a stupirmi, quando nell’insieme delle pubblicità troppo spesso “gridate”, trovo un esempio come questo: la nostra lingua è in se stessa creativa, se l’ascoltiamo lo saremo anche noi.