Memoria

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Sento un coro alpino e mi viene in mente mio nonno Silvio, con la sua fisarmonica e i racconti di guerra. I suoi occhi, le mani che si stringono a pugno nel ricordare quei momenti. Ma la voce chiara, limpida, l’animo forte e pulito di chi ha visto e patito, ma con onore. Sempre. E ricordo che ogni volta, poi, sapevo che avrebbe dormito sonni agitati, scossi dalla memoria di un uomo buono che non poteva spiegarsi tanto dolore. E non posso che essergli grata, lo sarò sempre, per quei momenti che ha voluto condividere, nonostante fosse difficile. Gli sarò sempre grata per avermi insegnato, “semplicemente” vivendo la sua vita, il significato di parole come onestà, valore, correttezza, umiltà. Onore a mio nonno, oggi e sempre. E a tutti quelli come lui, nostra storia, che troppo spesso diamo per scontati. Onore agli Alpini.

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Stringimi

È quell’abbraccio, quello consapevole. È lui il big bang della tua vita. Le sue mani non ce la fanno a incontrarsi, ma la sua forza è lì, nei gomiti. Quell’abbraccio è la prima cosa che ricordi. Prima non c’era l’acqua né il vento. Non c’era la terra né il fuoco. Non c’eri tu. C’era il pensiero di te. Di qualcosa che avresti dovuto essere, ma che ti sfuggiva. E ora, che ti sembra di poterlo toccare, sai già che non ti appartiene. La tua forma è cambiata, ha nuove regole e non sei tu a dettarle. Ma non hai paura perché non è il controllo la tua forza. La tua forza permea la tua pelle in quell’abbraccio, ti supera, volteggia e ti si scaglia di nuovo addosso come un’onda secca. E poi si infila in ogni parte di te, di ciò che di te resta. Lava via il veleno che hai portato dentro. Lascia in te il dolce sapore della vita.

Non un tono, né un taglio, neppure una misura.

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Un anno è un lasso di tempo terribilmente lungo di per sé, figuriamoci se pensiamo che sia quanto può passare tra un post e un altro. E così invece è stato. Già, un anno è passato dai primi e ultimi post. Inutile trovare scuse del tipo “c’ho avuto da fa’” perché chi di noi non è oberato da lavoro, famiglia, pensieri o scimmie urlatrici? Tanto per tenervi aggiornati, nel mio caso hanno prevalso le ultime.

Ho iniziato questo diario non avendo bene chiaro in testa cosa ne avrei fatto. Le mie buone intenzioni mi spingevano a farne un blog professionale, di quelli in cui scrivere tante cose intelligenti su come si produce un testo, sul perché lo si fa o magari sul fatto che chi lo fa non è pagato abbastanza. Ma ora, a distanza di un anno, ho deciso che no, un approccio troppo serio al mio lavoro, almeno qui, con me non avrebbe funzionato. E quindi? Perché mai qualcuno dovrebbe leggere qualcun altro che non sa nemmeno cosa vuole scrivere. Ancora non lo so, ma quello che so è che riempirò questo blog di parole. Sì, parole. Perché fate quella faccia? Ah, tutti i blog sono fatti di parole. Bella obiezione. Ma io lo riempirò con le mie parole, che poi sono quelle con cui mi pago da vivere (già in questa frase di materiale ce ne sarebbe: “pago” è la cosiddetta “parola grossa” e non perché fatta da lettere panciute). Quindi, da un certo punto di vista, non tradirò del tutto la mia idea di partenza e forse ne uscirà comunque un blog “professionale”. Ma un pochino meno incravattato. Insomma, eviterò di darmi un tono, un taglio e pure una misura.